domenica 2 giugno 2013

2 giugno 2013
Festa della Rebupplica...ma per me è soprattutto il compleanno di mia sorella.
Nel 2003,  quando Luisa ed io iniziammo a scrive "Passa passa Garibaldi" (almanacco quasi comico per tutte le stagioni...e per tutti i gusti) per il mese di giugno mia sorella inserì l'aneddoto
che trascrivo e che mi torna alla mente ogni volta che si parla di festa della repubblica.
Leggendo, si sussguono molte sensazioni e meditazioni su quei tempi lontani e su questi tempi
che stiamo vivendo.


 2 giugno 1946
 Compivo 5 anni;  ogni mio compleanno era stato salutato con gioia e festeggiamenti, nonostante la guerra, i bombardamenti, le corse in rifugio, il sibilo lacerante delle sirene:
non era mai mancata una torta casalinga, un regalino, l’invito dell’amico coetaneo, vicino di casa.  Ma quella volta mi sembrava tutto diverso: era già mezzogiorno e ancora nessun segno di festa.  La mamma da alcuni giorni era triste e aveva cercato di farmi capire che non avrei ricevuto il dono che desideravo; papà era sempre preoccupato e non mi salutava più, al mattino, con il suo solito sorriso e con una pennellata di schiuda da barba sul naso.  Lo avevo capito anch’io, nonostante la mia giovane età: era un brutto periodo. Papà non aveva più un lavoro.  La fabbrica di porcellane dove il suo abile pennello aveva creato ornati, complesse volute barocche su vasi panciuti, delicati paesaggi cinesi, fiori e foglie dai colori evanescenti, era stata bombardata e distrutta durante la guerra ed ora, nell’impellenza della ricostruzione, si dava precedenza alla primaria necessità: l’arte poteva aspettare.
Ma quel 2 giugno del ’46 era un giorno diverso e speciale per un altro motivo: da tempo ne sentivo parlare e, anche se non mi era tutto chiaro, avevo capito che gli Italiani “volevano mandare via il re”.
Mio padre e mia madre, i vicini, gli amici e i parenti che frequentavano la nostra casa ne discutevano…non tutti la pensavano allo stesso modo e le parole monarchia, democrazia, popolo, re venivano spesso ripetute, infiammavano gli animi, accaloravano le discussioni.  Nel mio angolo dei giochi le ascoltavo, le assorbivo e riflettevo a modo mio.  Ma perché, mi chiedevo, vogliono cacciare il re?  Nelle fiabe che la mamma mi narrava ogni sera, prima di addormentarmi, c’era sempre un re; era buono, a volte un po’ infelice ed aveva un figlio o una figlia bellissimi…vestivano sete e velluti, indossavano corone e diademi e, per le loro feste di compleanno, organizzavano sontuosi banchetti e balli mascherati.  Non erano poveri, non avevano bisogno di trovarsi un lavoro e, se erano in difficoltà, c’era sempre una fata buona e generosa che li aiutava.  Io avrei voluto essere la figlia di un re.
Venne la sera.  La mamma aveva preparato la cena ed era riuscita, nonostante le ristrettezze a organizzare una festicciola in mio onore.  Mio padre tornò con l’aria stanca: aveva girato inutilmente anche quel giorno alla ricerca di un posto di lavoro. Tornava a mani vuote.  Io, nella mia innocenza, gli andai incontro col volto sorridente e speranzoso: lui mi fece una carezza e mi guardò tristemente poi, ad un tratto, sembrò ricordarsi di qualcosa: aprì la cartella che conteneva i sui disegni, i campioni dei suoi lavori preziosi e ne estrasse due bandierine tricolori.  Me le sventolò davanti agli occhi, mi abbracciò e mi disse: “Buon compleanno Luisa! Sei una bambina fortunata: oggi è nata anche la Repubblica! In questo giorno si farà sempre festa!”
Io ricevetti quelle due bandierine come un dono prezioso, ma gli chiesi che cosa fosse la Repubblica:  “E’ quando comanda il popolo” mi rispose lui in modo sbrigativo forse pensando che, data la mia età, non avrei potuto capire spiegazioni più complesse.  Ma io, bambina solitaria, spesso meditavo nel mio angolo e, nel mio immaginario, organizzai strani ragionamenti.
Repubblica…anche qui c’è la parola RE…forse il papà aveva sbagliato, doveva dire Repubblico, il pubblico era Re…e il pubblico era tutta la gente, la gente che va per le strade, che si diverte agli spettacoli, che si riunisce nella piazza del Duomo e applaude alla Madonnina che torna a brillare sotto il sole di Milano…e la gente era il popolo, come aveva detto il mio papà.
Il popolo era re…ma allora anche il mio papà era un re e io una principessa, come tutte le bambine d’Italia!  Forse una fata buona avrebbe aiutato anche noi e presto il papà avrebbe trovato un nuovo lavoro.

Repubblica: Res publica! Cosa pubblica, cosa di tutti!  Più avanti, studiando il latino, studiando la storia degli antichi Greci e Romani, emozionandomi alle gesta degli eroi repubblicani del risorgimento, avrei compreso il vero significato etimologico della parola, ma solo più tardi, quando lessi e meditai, preparandomi ad un concorso, il testo della Costituzione Italiana, compresi come, con la mia mente da bambina e con le mie elucubrazioni infantili, non fossi andata poi così lontano dal vero:

“L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro…
La sovranità appartiene al popolo…”
Popolo sovrano, dunque! Popolo re! Un re che deve avere un lavoro!


Ecco, carissima Daniela, mi piace che tu conosca quest’episodio…che anche tu “veda” nostro padre, che a noi si mostrava sempre sereno e ottimista, come lo ricordo io, con quel velo di tristezza negli occhi, perché non poteva darmi tutto quello che il suo affetto avrebbe voluto.

                                                           Luisa

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